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fase avanzata di costruzione) mostravano un atteggiamento un po’ arrogante nei confronti dei
colleghi americani. Con grande sorpresa e delusione di tutti fu annunciato l’annullamento della
visita all’ FFTF per motivi di sicurezza. Ma noi tre italiani fummo informati (“alla chetichella”) che
per noi non c’erano problemi, tutto OK per la visita. Questa avvenne mentre erano effettivamente in
corso dei lavori urgenti nella sala reattore. Si era voluta evitare la presenza di una folla di
giapponesi curiosi e di francesi spocchiosi, ma per tre italiani non c’era nessun problema. Così
potemmo visitare per un’intera giornata questa meraviglia di reattore guidati da giovani ingegneri
della Westinghouse nei meandri dell’impianto, brulicante di tecnici ed operai che stavano
rimediando a qualcosa che non potemmo sapere. Rimasi impressionato dalle piccole dimensioni del
nocciolo di un reattore così potente (400 MW). Trovai interessante il locale dedicato alla
preparazione e smantellamento dei MOTA (Materials Open Test Assemblies) progettati per
effettuare gli irraggiamenti su oggetti strumentati per controllarne le condizioni durante il
funzionamento del reattore (cicli di 300 giorni a piena potenza) e per valutare le conseguenze
chimico-fisiche strutturali sui provini irraggiati. Non potevo immaginare che entro pochi anni sarei
stato coinvolto in una collaborazione col gruppo del “Pacific Nordwest National Laboratory”,
PNNL, di Hanford che gestiva i MOTA per il programma fusione per USA-Giappone-Canada
.
Figura 6 – “Depliants” di FFTF e MOTA. Il flusso neutronico veloce medio era pari a
5.6 1015 neutroni/cm2.s, quello per i neutroni superiori ad 1 MeV) superava 4.5 1015 (n/cm2.s),
questi sono i valori più alti al mondo. Il reattore a funzionato per 13 anni esclusivamente per testare
materiali, i 400 MW venivano dispersi in aria con enormi refrigeratori. Le colonne nere che si
scorgono in figura a sinistra.
7 - Le tecnologie della fusione
Appena un anno dopo infatti il centro Casaccia subì una ennesima trasformazione programmatica.
La chiusura del programma sui reattori veloci lasciava senza finanziamento il nostro laboratorio di
“chimica” che riuscì a sopravvivere grazie alla buona attrezzatura e la capacità sulla preparazione e
caratterizzazione di materiali ceramici, utilizzabili in progetti di sviluppo di sistemi per le “energie
alternative” (tra i quali “celle a combustibile” e “batterie di nuova generazione”). Ma nell’Unione
Europea (attraverso l’EURATOM e con il benestare IAEA) stava nascendo il programma sulle
“TECNOLOGIE DELLA FUSIONE” per sostenere le ricerche necessarie a progettare e quindi
costruire un reattore a fusione che dimostrasse la possibilità di generare energia entro 30-40 anni. Il
contributo ENEA per avviare questo cammino fu affidato al professor Bruno Brunelli, proprio